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1 TEORIA DEI LINGUAGGI Alessandra Sommella 1 MODULO: 1. Esporre i vari modi in cui viene declinata la disciplina denominata con gli appellativi “teoria dei linguaggi” e “filosofia del linguaggio”: La Teoria dei linguaggi è una disciplina filosofica che equivale alla filosofia dei linguaggi. Tutti gli insegnamenti che si occupano del linguaggio e dei codici semiologici sono identificati in ambito accademico con il raggruppamento disciplinare M-FIL/05. Centrali nella riflessione di tale disciplina sono le capacità metalinguistiche, ovvero le capacità che hanno portato a declinare le strutture e le regole delle varie lingue e quelle che Lia Formigari chiama capacità epilinguistiche, cioè le capacità innate che si trovano nel bambino nell'apprendimento della L1. Altro aspetto fondamentale è la distinzione tra lingua e linguaggio, dove per linguaggio non si intende solo il linguaggio verbale ma anche i vari codici semiologici, cioè sistemi di segni differenti che possono essere naturali o artificiali. Importanti sono anche i processi di comprensione, interpretazione e traduzione che consentono il passaggio da una lingua all’altra o da un linguaggio all’altro. La teoria dei linguaggi è considerata anche una filosofia della linguistica, perché opera una riflessione epistemologica sulle categorie introdotte dalla linguistica. Tuttavia, la teoria dei linguaggi, pur essendo una disciplina filosofica, non fa parte delle filosofie speciali (come la filosofia della religione o della storia), perché agli inizi del 900 ha attuato il cosiddetto Linguistic Turn, una svolta linguistica. 2. Illustrare le caratteristiche principali della contrapposizione tra filosofia analitica e filosofia continentale nel panorama culturale europeo del XX secolo: La filosofia analitica di ambito anglofono e la filosofia continentale (che riguarda quindi l’Europa continentale), sono due tradizioni filosofiche in opposizione, accomunate però dalla stessa critica alla metafisica che ha dato il via al linguistic turn. Gli aspetti comuni portano a percepire queste filosofie come post-filosofie o anti-filosofie. Il linguaggio è al centro di entrambe le tradizioni. Entrambe prendendo le distanze dall'approccio metafisico, propongono l’idea che ogni esperienza umana è sempre filtrata dal linguaggio. Senza il linguaggio non si ha conoscenza. Questo punto in comune è declinato diversamente dalle due tradizioni. Nella filosofia analitica la filosofia si interpreta come un lavoro vicino a quello delle altre scienze. Si rifà ad una tradizione anglosassone, come quella di Locke, che pone al centro il linguaggio e l'analisi della lingua per mettere in luce l'imperfezione di questo strumento e la necessità di trovare una soluzione per risolvere questa imperfezione. La soluzione si riscontra solo all'interno dei linguaggi matematici e logici. Non a caso i fondatori di questa filosofia sono tutti logici e matematici: Frege, Russel e il Circolo di Vienna. La filosofia continentale, invece, è più vicina alle scienze umane che alla logica, e ha come punto di riferimento Kant e il Kantismo. La svolta linguistica aggiunge un passo ulteriore con una critica diretta che i tre filosofi Hermann, Herder e Humboldt hanno fatto alla filosofia di Kant proponendo una visione metacritica. I tre filosofi rimproverano a Kant di non aver riconosciuto il ruolo fondamentale che le lingue storico-naturali hanno nel plasmare la realtà. Seppur in contrapposizione le due prospettive presentano alcune convergenze, oltre a quelle già citate: - la soggettività linguistica ossia il ruolo del soggetto parlante -la rottura con il pensiero filosofico dell’800, una tradizione che risale ad Aristotele e che dava alla filosofia il compito di esplorare in maniera sistematica la totalità dell’esperienza umana e non. In particolare, si ha una rottura con le filosofie idealiste di Hegel, Fichte, Schelling che propongono un sapere assoluto. L’approccio del ‘900 è legato alla risoluzione di problemi circoscritti, spesso in dialogo con altre discipline.
2 3. Spiegare che cosa s’intende per superamento della metafisica in rapporto al linguistic turn che ha caratterizzato la filosofia del Novecento accomunando filosofi analitici e filosofi continentali: Con l'espressione "svolta linguistica" si intende designare un fenomeno intellettuale che ha contraddistinto ampia parte della filosofia del Novecento. Il linguistic turn si sviluppa a partire da una autocritica che la filosofia fa di sé stessa partendo da una critica alla metafisica, questa realtà trascendentale che pretende di essere uno sguardo da nessun luogo (Nagel), una verità non filtrata dal soggetto. Centrale è stato il pensiero filosofico di Kant che è stato il primo a muovere una critica alla metafisica, ma che sarà criticato per non aver riconosciuto il ruolo fondamentale del linguaggio nel processo di concettualizzazione della realtà. La realtà è sempre filtrata dal linguaggio. La svolta linguistica ha anche una prospettiva antropocentrica perché questi filtri sensoriali e cognitivi sono sempre filtri degli esseri umani e ciò porta a considerare la realtà umana filtrata dal linguaggio verbale l’unica realtà interessante. Questa prospettiva antropocentrica sarà oggetto di critica durante il secolo scorso, in quanto la semiosi non è un prodotto esclusivo degli esseri umani ma caratterizza tutte le specie viventi. Le due tradizioni filosofiche che si sviluppano in questo contesto, analitica e continentale, seppur in contrapposizione tra loro, sono accomunate dal superamento della metafisica. La filosofia analitica lo fa attraverso un lavoro vicino alle scienze logiche che si basano proprio sul perfezionamento del linguaggio, la filosofica continentale attraverso una vicinanza alle scienze umane sviluppando il concetto di pensiero debole e l’adozione di prospettive multiple. Su questo la filosofia analitica critica quella continentale in quanto non ha una precisione linguistica. D’altro canto, quella continentale critica il linguaggio troppo tecnico e specifico di quella analitica che porta ad escludere chi non fa parte di questa discussione. 4. Presentare la concezione strumentalista del linguaggio e quella che a essa si contrappone in modo critico: Per concezione strumentalista del linguaggio si intende quella concezione diffusa che tende a considerare le lingue prettamente come uno strumento di comunicazione. In questa concezione il fatto che esistano più lingue è indifferente perché vengono considerate come strumenti equivalenti per esprimere qualcosa. Da questo punto di vista appare ovvio privilegiare la lingua che funziona in modo più efficiente dal punto di vista linguistico, più economica. Sul piano internazionale, la diversità delle lingue causa problemi per la comunicazione; per questo si è scelto l'inglese come lingua più efficace nella comunicazione. Questo porta a dei privilegi, ma porta anche ad un suicidio linguistico di quelle lingue con meno parlanti. Un altro problema è che la concezione strumentalista considera la lingua come un dispositivo, come qualcosa separato dai parlanti. Tullio De Mauro critica questa concezione, ricordandoci che nella concezione strumentalista del linguaggio domina una concezione della lingua come machine à parler, un dispositivo che ci permette di dire e capire frasi senza aver avuto parte nella sua costruzione. La concezione opposta del filosofo Humboldt è l’idea di lingua come Weltansicht, cioè come prospettiva sul mondo o visione sul mondo. Le lingue, secondo questa prospettiva, non sono solo diverse dal punto di vista comunicativo e quindi dei suoni, ma anche dal punto di vista della categorizzazione e quindi del piano semantico e morfosintattico. Le lingue sono qualcosa di unico nella loro struttura e il loro valore è paragonabile agli organismi presenti nell’ecosistema terra. Le lingue stanno scomparendo proprio come molte specie viventi sulla terra. In questa concezione ritroviamo la centralità del soggetto parlante o soggettività linguistica. Il parlante può modificare la lingua, ed esercitare un'influenza profonda come avviene negli usi letterari. 5. Esporre sinteticamente le principali caratteristiche della semiotica di Peirce presentando le nozioni di segno, con le sue diverse tipologie, di semiosi e di type e token:
3 Peirce è un filosofo e scienziato fondatore di una disciplina semiotica onnicomprensiva che riconosce il carattere semiotico di ogni pensiero e sottolinea la natura mediata di ogni attività conoscitiva. Ogni processo di conoscenza, sia degli esseri umani che degli altri esseri viventi, può essere raccolto sotto il termine di semiosi. Questa concezione è chiaramente espressa nella definizione di segno di Peirce: “qualcosa che sta per qualcuno al posto di qualcos’altro sotto certi aspetti o capacità”. Il processo semiotico è raffigurabile attraverso un triangolo che comprende ai suoi vertici il segno (representamen), l’interpretante e l’oggetto (immediato). L’interpretante non è l’interprete, ovvero colui che coglie il legame tra segno ed oggetto, ma un secondo segno che evidenzia in che senso sia possibile che un certo segno si riferisce a un dato oggetto. L’oggetto immediato che innesta il processo semiotico è affiancato all’oggetto dinamico che è l’oggetto della realtà alla cui conoscenza tale processo punta. Il modo in cui il segno si relaziona all’oggetto ci permette una distinzione dei segni in indice, icona e simbolo. L’indice è un segno che ha una relazione di contiguità con l’oggetto a cui si riferisce (es. orma che indica passaggio animale, fumo per il fuoco, un’impronta digitale). L’icona raffigura l’oggetto attraverso una serie di relazioni che hanno carattere di similarità e si distingue a sua volta in immagine (es fotografia), metafore (fa riferimento ad una somiglianza astratta come la figura del leone che simbolizza il coraggio), diagrammi che riproducono rapporti tra elementi come la mappa di una città. Infine, c’è il simbolo che fa riferimento ad un segno che ha con la realtà una relazione arbitraria, cioè il rapporto è stabilito da una regola generale astratta che non fa riferimento a nessun elemento di similarità con la realtà. Il linguaggio verbale, così come tutti i segni convenzionali, rientra in questa categoria. I segni inoltre non posseggono una realtà isolata, ma sono inseriti all'interno di un codice, ossia un sistema che ne determina le regole d'uso. Senza il codice gli utenti non sarebbero in grado di interpretare ed utilizzare i segni. Il codice, nel determinare una serie di regole a cui i segni sono sottomessi, fa riferimento a due dimensioni: da un lato abbiamo la parte percepibile, ciò che noi percepiamo dal segno, quindi la parte materiale e dall’altra la parte non percepibile, quella cognitiva. Per capire un codice dobbiamo individuare due livelli: il token e il type. Il livello del token è riferito agli oggetti reali del mondo, alla sua concreta occorrenza, all'attuazione individuale del segno che si divide in senso cioè il significato che noi possiamo intendere pur non conoscendo le regole e l’espressione, cioè il modo in cui noi possiamo percepirlo. Per comprendere il token bisogna riconnetterlo al type, entità astratte, rappresentazioni ideali di ciò che esiste, che è l’elemento fondamentale del codice, la classe generale con una serie di regole. Anche questo livello si fa riferimento ad una realtà doppia: il significato, che corrisponde al senso, e il significante che corrisponde all’espressione. 6. Presentare la classificazione ascendente dei codici (dai più elementari ai più complessi) presentata da Tullio De Mauro: Tullio De Mauro ha elaborato una classificazione ascendete dei codici, che segue un ordine crescente, partendo dai codici più elementari per arrivare a codici via via più complessi. Il primo codice è quello della certezza, la cui caratteristica principale è la mancanza assoluta di ambiguità rispetto al modo in cui essi devono essere interpretati. Esempi concreti sono la spia della benzina e il semaforo. La spia della benzina è un codice a significante zero, quando è accesa, c'è segnale un problema, quando è spenta indica che va tutto bene. Il semaforo, invece, è un codice a tre segni, il colore rosso: fermati; il verde: passa; l’arancione: rallenta. Poi abbiamo i codici del risparmio, denominati così perché ordinati in una serie. Questa serie ci consente non solo di capire l’informazione o i significati dei singoli segni ma anche di comprendere quale segno viene prima e quale dopo. Un esempio sono i segni dello zodiaco I codici combinatori del risparmio invece sfruttano il potenziale della serialità sopra citata in un sistema combinatorio. Un esempio può essere la catalogazione dei libri in una biblioteca. Abbiamo poi i codici dell’infinito, ovvero codici a segni articolati di numero illimitato senza sinonimia, ordinabili in modi infiniti. La caratteristica dell’infinità deriva da due caratteristiche: l’iterabilità di un segno numerico che dà luogo a un segno diverso (111 è diverso da 11 e 11 è diverso da 1); e poi la regola per cui dato un insieme di segni di qualsiasi lunghezza è sempre possibile aggiungere ad esso un’altra cifra.
4 Poi abbiamo i codici dei calcoli, collegato a quello dell'infinito in quanto centrali sono i numeri. Quando eseguiamo i calcoli possiamo notare che ci sono operazioni diverse che portano allo stesso risultato. Per questo, questi codici del calcolo hanno una caratteristica, cioè la sinonimia, l'analogia di determinate operazioni, che è assoluta e infinita. Anche le lingue storico-naturali posseggono tali caratteri e sono codici più complessi nei quali però la sinonimia non è assoluta ma è soggettiva, cioè mai prevedibile. 7. Esporre le principali caratteristiche semiotiche delle lingue storico-naturali: Le lingue storiche naturali appartengono ai codici complessi secondo la classificazione di De mauro. Sono codici a segni articolati di numero illimitato ordinabili in modi infiniti con sinonimi, però la sinonimia delle lingue non è assoluta come quella dei calcoli. I termini sinonimi non sono mai sinonimi assoluti. Il linguaggio verbale possiede alcune caratteristiche tra cui la creatività. Essa si esprime dal punto di vista dell’evoluzione diacronica delle lingue, che vede appunto la loro evoluzione nel tempo e l’introduzione continua di nuove parole che non è prevedibile né governabile. Se invece pensiamo all’uso sincronico della creatività, quindi all’uso della lingua in un periodo preciso, notiamo che essa non è omogenea ma variabile. Un altro tipo di creatività è quella vincolata, che segue le regole della lingua; il modo più comune con cui si manifesta questo tipo di creatività è l’imitazione che noi compiamo quando impariamo una lingua. Non vi è mai un’imitazione assoluta che riproduce in modo esatto quanto si è ascoltato, e questo determina la presenza di un momento creativo anche nel processo di imitazione. Altra caratteristica delle lingue è la plasticità semantica, ossia la capacità delle parole di essere deformate in modi che non possono essere previsti a priori. I limiti di tale plasticità semantica sono dettati da un’esigenza etica che impone ai parlanti l’esigenza di farsi comprendere. Una caratteristica legata alla plasticità è l’onniformatività, ossia la capacità di questo tipo di codice di ricodificare all’interno di esso i contenuti di tutti gli altri codici. 8. Spiegare la specificità dell’Italian Theory, all’interno della filosofia continentale, individuandone i principali interpreti: Il primo a parlare di Italian Theory o Italian Thought è stato il filosofo italiano Roberto Esposito nella sua storia filosofica del pensiero italiano. Esposito annovera tra i principali esponenti Dante, Leonardo da Vinci, Machiavelli, Giordano Bruno, Vico, Leopardi, Croce, Gramsci, Paolini. Secondo Esposito la caratteristica originale del pensiero italiano dalle origini ai giorni nostri è la sua capacità di non chiudersi in sé stesso come la filosofia metafisica classica, ma di contaminarsi di elementi molteplici della realtà. Ciò che accomuna questi intellettuali è il fatto che la filosofia italiana non è estroflessa ma è sempre collegata all’esperienza, a quello che ci dice il mondo. Non è una filosofia accademica, universitaria ma si trova proprio in collegamento con poeti e pensatori politici. Il filosofo, all’interno di questa tradizione, non deve pensare alla filosofia come qualcosa di statico con un linguaggio tecnico ben definito. La filosofia italiana si basa proprio sull’utilizzo di un linguaggio che accomuna tutti e fa riferimento a questioni centrali nella comunità. Questo è dovuto proprio al fatto che siamo accomunati dall’utilizzo della stessa lingua. Figure centrali in questo Italian Thought sono Vico e Dante. Entrambi pongono al centro della loro riflessione filosofica-linguistica il linguaggio che, per entrambi, consente di tenere insieme mente e corpo e di sfuggire sia al dualismo metafisico che alla dimensione monologica. Trabant dopo aver letto il De Vulgari Eloquentia, la prima opera filosofica sul linguaggio, definisce Dante un pensatore globale, perché è vero che nella sua riflessione ci propone elementi tipici della penisola italiana, ma è pur vero che il suo pensiero può riferirsi a comunità generali. L’opera di Dante è espressione di una nuova soggettività attraverso una nuova forma di espressione linguistica: il plurilinguismo. A questo pensiero dantesco si collega la figura di Vico, che in contrapposizione al dualismo Cartesiano, afferma che il linguaggio fa da tramite tra mente e corpo. 9. Presentare i diversi indirizzi del naturalismo linguistico all’interno della filosofia antica: Nella filosofia della Grecia antica è già presente la riflessione sul linguaggio; basti pensare a Platone, allievo di Socrate, che la propone nella sua opera Il Cratilo. Si tratta del primo saggio della filosofia del

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