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DIDATTICA DELLA LINGUA ITALIANA – Tommaso Salomoni Modulo 1 – Lezione 1 La legge 482 del 15/12/1999 riconosce l’italiano come lingua ufficiale della Repubblica Italiana, mentre nella Costituzione non veniva specificato alcunché. La stessa legge sottolinea la necessità di riconoscere le minoranze linguistiche presenti nel nostro paese, ovvero quelle delle comunità alloglotte presenti. Non si tratta solo di comunità che si sono imposte recentemente, infatti tra queste troviamo il sardo, il friulano, il tedesco, il francese e l’albanese. Si tratta quindi di lingue diverse, provenienti da famiglie indoeuropee, germaniche e soprattutto romanze. Le nuove minoranze linguistiche invece sono quelle ad esempio dei filippini, dei rom, dei marocchini e dei cinesi, e sono relative a nuovi fenomeni di immigrazione con la conseguente nascita di nuove comunità alloglotte. In questa legge i dialetti italoromanzi come il sardo, il friulano ed il ladino vengono riconosciuti come lingue, ma si tratta di una legge problematica che ha suscitato molte critiche. L’Italia registra un indice di diversità linguistica altissimo secondo l’indice di Grimes, calcolando le vecchie e nuove comunità alloglotte, senza includere i dialetti. In Italia in generale si parlano molte lingue, con commistioni antiche. E’ importante sottolineare come l’italiano sia anche la lingua ufficiale dello stato di San Marino e dello Stato del Vaticano, oltre ad essere una delle quattro lingue ufficiali della Svizzera. Nel resto del mondo l’interesse verso lo studio dell’italiano appare in calo, basti pensare che in Europa solo il 3% degli abitanti conosce l’italiano oltre alla propria lingua, mentre il 41% conosce l’inglese, il 19% il francese, il 10% il tedesco e il 7% lo spagnolo. Addirittura non sempre vengono tradotti i verbali delle commissioni europee in italiano. L’italiano è stata ed è una lingua di cultura che ha contribuito alla costruzione della civiltà moderna occidentale, ed ultimamente ha avuto risalto grazie all’importanza che hanno assunto nel mondo il made in Italy, l’enogastronomia ed il cinema. Negli ultimi decenni l’italiano sta esplorando una nuova frontiera di espansione come lingua target: comunità di non italofoni come immigrati e figli di immigrati vivono in Italia, la prima generazione apprende l’italiano come L2 (lingua target), la seconda generazione come L1 (lingua madre). Il dibattito culturale e legislativo in questo ambito ha posto l’interrogativo sull’obbligo della conoscenza dell’italiano come presupposto per ottenere il permesso di soggiorno, ponendosi tra diritto e dovere del cittadino immigrato. I dialetti italoromanzi vengono esportati anche fuori dall’Italia, come accade per il lombardo nel Canton Ticino, per i centro- meridionali in Corsica, per varietà venete in Istria e liguri a Monaco e Montecarlo. Per D’Achille il dialetto deriva dal latino volgare e ha la stessa dignità di una lingua, trattandosi di una lingua locale e non di una deformazione della lingua nazionale. Per una concezione ingenua del rapporto lingua-dialetti, si pensa che dall’italiano siano derivati il milanese, il napoletano, il barese, il romanesco ed il veneziano, per la concezione scientifica invece dal latino, lingua madre, sono nati il milanese, il napoletano, il fiorentino, il romanesco ed il veneziano, e dal fiorentino trecentesco si è evoluto l’italiano. Nei dialetti settentrionali si verifica la caduta delle vocali atone in finale di parola, tranne per la “a”, avviene la sonorizzazione e sono presenti le vocali procheile. Nei dialetti toscani è presente un sistema tonico eptavocalico ed il fenomeno della gorgia. Nei dialetti mediani viene mantenuta la distinzione tra “o” ed “u” finali, nei dialetti meridionali si indeboliscono le vocali finali e nei dialetti meridionali estremi in finale di parola si ammette solo “a”, “i” e “u”. Nei dialetti meridionali infine si verifica la metafonesi. L’impero romano cade nel 476 e da quella data inizia il fenomeno di frammentazione del latino: tra il IX° ed il X° secolo appaiono per la prima volta in forma scritta le lingue romanze, dalla penisola iberica alla Francia e all’Italia, per finire con la Romania (portoghese, spagnolo, francese, italiano e rumeno), con tutti i dialetti romanzi ammessi. Le lingue romanze appartengono alla famiglia indoeuropea, che racchiude moltissime lingue che derivano da una lingua sconosciuta: è evidente come una fase linguistica comune ha certamente
dato vita al latino, al greco, all’albanese, all’armeno, alle lingue baltiche, celtiche, germaniche, slave ed a molte altre lingue orientali antiche, medievali e moderne parlate in India e in Persia. L’italiano è la lingua rimasta più vicina al latino, continuando il dialogo nel corso dei secoli grazie ad esempio ai latinismi, parole latine prese ed introdotte direttamente nell’italiano saltando la spontanea fase evolutiva (ad esempio il suffisso –issimo, gli aggettivi floreale/fiore e mensile/mese). L’italiano deriva nelle sue strutture di base dal fiorentino trecentesco, con la fondamentale elaborazione letteraria di Dante, Petrarca e Boccaccio, e la successiva classificazione nel ‘500 di Pietro Bembo. In epoca moderna il primato fiorentino viene legittimato da Manzoni, per l’importanza economica e culturale di Firenze, per il successo delle opere di Dante (Commedia), Petrarca (Canzoniere) e Boccaccio (Decameron), e per l’umanesimo fiorentino volgare. L’italiano standard nasce quindi da un modello letterario, diversamente dalle altre lingue europee. Il termine italiano per identificare la lingua parlata nella penisola viene introdotto solo nel ‘700, l’italiano pero’ diventa parlato solo dopo l’unità, per secoli è stata solamente una lingua scritta e quindi una L2, lingua target. Nel 1861 si stima che tra il 2% e il 10% degli abitanti in Italia parlasse italiano. Modulo 1 – Lezione 2 Dopo la diffusione dell’italiano come lingua materna in seguito all’Unità d’Italia (1861), il repertorio linguistico di ciascun parlante si è arricchito e ristrutturato, con più varietà di italiano disponibili. Il parlante ideale, accanto alla varietà standard, domina e padroneggia altre varietà, utilizzabili a seconda dei contesti. Con gli estranei il 72% degli italiani parla italiano anche se si tratta di un dato poco illuminante, perché derivante da un’autoanalisi. Per De Mauro nel 1955 l’italiano era parlato dal 10% della popolazione, nel 1988 dal 38% e nel 1995 dal 44%. Non esistono lingue vive che non subiscano variazioni nel tempo, e si creano così le varietà linguistiche, che sono processi naturali. Il mutamento linguistico è fisiologico e non si tratta di una decadenza da un presunto stadio di purezza. L’italiano standard non è migliore dei dialetti in un sistema linguistico dove convivono spirito di conservazione ed innovazione. La varietà diatopica si produce nello spazio linguistico (ad esempio un oggetto può essere nominato a seconda della zona come stampella, gruccia, appendiabiti) con geosinonimi che poi si impongono con il passare del tempo come “giocattolo” veneto invece del toscano “balocco”, il settentrionale “adesso” invece di “ora” o “mo”. Tra italiano standard e dialetti nascono gli italiani regionali, ovvero gli italiani che dichiarano la zona di provenienza regionale. Quando un italiano parla dichiara la propria provenienza geografica, nessuno parla l’italiano perfetto, se non alcuni doppiatori. La varietà diacronica avviene attraverso il tempo: in Dante vengono usate parole andate poi perdute, oppure il doppio interrogativo “chi ha visto chi?” reintrodotto recentemente in italiano, oppure la sostituzione di “egli” ed “essa” con “lui” e “lei”. La tradizione scolastica ha sempre spinto per una tradizione grammaticale purista, con vari tratti dell’italiano antico come “lo corvo” in voga fino a pochi decenni fa. Collodi ad esempio dimostra uno stile puristico anche se innovativo, raccomandando l’uso di “io amava” invece di “io amavo”, sospeso in precedenza da Manzoni, ma in Pinocchio usa “lui” e “lei”, considerando contestualmente al di fuori dell’opera il suo utilizzo come una sgrammaticatura. Per Serianni il sentimento linguistico è spesso basato precariamente sull’inarrestabile decadenza dell’italiano, lingua che invece nel XX° secolo diviene codice condiviso della maggior parte dei cittadini. La varietà diafasica è la variazione del cambiamento linguistico a seconda del contesto e delle circostanze. Scriviamo e parliamo in modo diverso se ci rapportiamo con gli amici oppure se sosteniamo un esame. Un esempio è l’uso di morire, trapassare, passare a miglior vita rispetto a schiattare, crepare. Una descrizione efficace della varietà diafasica è fornita da Goidanich, che paragona gli usi linguistici agli abiti, giudicabili quindi dal contesto.
La varietà diastratica riguarda infine il livello socio culturale di un parlante, che è influenzato dal livello di istruzione, dall’occupazione, dall’età e dal sesso. In Italia ha più riflessi linguistici il livello di istruzione rispetto al reddito. L’italiano popolare o dei semicolti evidenzia alcuni errori di pronuncia, come persuadère invece di persuàdere, o pissicologo invece di psicologo, oppure di grafia (Andonio invece di Antonio). L’italiano popolare, in morfologia nominale e verbale, predilige l’utilizzo di “euri” e di “il posto meglio”, nella sintassi usa “ho rimasto” e “la gente dormono”, nel lessico “la sogliola della porta” (malapropismo, ovvero utilizzo di parole delle quali non si conosce il significato). L’italiano standard è una varietà di riferimento che costituisce la norma linguistica, è sovraregionale, utilizzabile in tutti gli scritti e anche oralmente in ogni contesto. Il dialetto invece, italiano regionale, non può essere sempre usato. L’italiano standard ha una matrice fortemente letteraria, con la rigida distinzione tra lingua della poesia e lingua della prosa. Manzoni mette ordine a molte prolificazioni di varianti, ma la standardizzazione dell’italiano è un fenomeno post-unitario, in ritardo rispetto alle altre lingue romanze. Non è mai stata promossa una forma orale di pronuncia come modello unico, il modello dell’italiano parlato deriva dal fiorentino emendato (senza ad esempio il fenomeno della gorgia), parlato da pochissime persone, non insegnato e non padroneggiato da tutti gli insegnanti. L’italiano neostandard è per Sabatini e Berruto l’italiano dell’uso medio, scritto e parlato, con tratti non necessariamente recenti. Alcuni tratti del neostandard riguardano l’uso di lui e lei. L’architettura linguistica italiana si spiega con l’asse diastratico, diamesico e diafasico proposto da Berruto, che inserisce le varietà nello spazio linguistico. Modulo 1 – Lezione 3 Il lessico è l’insieme di parole di una lingua. Il lessico orale non coincide necessariamente con il dizionario, ad esempio nell’oralità si utilizzano parole come “sfiducioso” che non troviamo nello scritto. Il lessico mentale è continuamente ampliabile, e la conoscenza lessicale è influenzata dall’età, dal grado di istruzione e dalle competenze professionali. Secondo De Mauro un adulto mediamente istruito conosce qualche migliaia di parole. “Gli amici dei miei amici sono miei amici” è una frase composta da 8 forme flesse e da 5 lessemi. L’insieme delle forme flesse di un certo lessema è il paradigma di quello stesso lessema, mentre la forma di citazione è la forma flessa convenzionalmente scelta per identificare un certo lessema. Il lessema è l’unità fondamentale del lessico. Nella grammatica tradizionale si tende a mischiare lessema e forma flessa, ad esempio in casa abbiamo due lessemi che riguardano il nome comune di cosa ed il genere femminile, e la forma flessa che è il singolare. Esistono unità lessicali composte da lessemi che ricorrono spesso insieme, come le collocazioni (dovizia di particolari, errore madornale, pioggia torrenziale), e le polirematiche (vedo rosso, libro nero, vuotare il sacco). I lessemi possono essere classificati in parole semanticamente piene e in parole funzionali. Le parole semanticamente piene sono nomi, aggettivi, verbi ed alcuni avverbi, le parole funzionali sono articoli, pronomi, preposizioni, congiunzioni e molti avverbi. La suddivisione viene identificata anche con parole piene (classi aperte) e parole vuote (classi chiuse). Le classi aperte del lessico sono in continuo incremento grazie ai prestiti ed ai neologismi, con parole che escono dall’uso e diventano arcaismi (equilibrio tra uscite ed entrate). Una caratteristica importante è rappresentata dalla polisemia: con “cavallo” infatti possiamo intendere l’animale oppure una parte dei pantaloni. I lessemi italiani sono tra 200 mila e 250 mila, il vocabolario di base di tutti i parlanti è composto da 7000 vocaboli. Il lessico fondamentale è composto da 2000 lessemi, quello di alto uso da 3000 lessemi utilizzati da persone con un grado di istruzione minimo. Il lessico di alta disponibilità è formato da 2300 lessemi, usati poco ma ben presenti nella nostra vita quotidiana. Il lessico fondamentale e quello di alto uso hanno una lunghissima durata nel tempo, basti pensare che l’80% del lessico fondamentale è composto da lessemi dal ‘300. Il lessico di alta disponibilità è soggetto invece a rapidi allargamenti. Il vocabolario comune comprende 45000 lessemi, utilizzati nella scrittura e nell’oralità senza una specifica connotazione tecnico-