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BIOLOGIA APPLICATA (PROF A. SIDOTI) LEZIONE N.32 30/04/21 DNA RICOMBINANTE Abbiamo ormai l’idea chiara del gene. Sappiamo che uno dei geni che studiamo di più è il gene strutturale, che codifica per una proteina, e che ci sono delle malattie monogeniche che sono causate da mutazioni presenti in un solo gene che potrebbero essere candidate (anche se non sempre lo sono) alla terapia genica. TERAPIA GENICA Oggi con i vaccini sappiamo che possiamo manipolare tante cose. Quando gli acidi nucleici ci consentono di manipolare e possibilmente anche in alcuni casi guarire determinate malattie si parla di terapia genica. Ci sono tantissimi farmaci sintetizzati sulla base di quelli che sono gli strumenti di cui parleremo in questo corso sul DNA ricombinante, come ad esempio abbiamo visto il vaccino a mRNA per cui, si può già intuire come sia possibile tanto. Qualche anno fa è stato anche sintetizzato un genoma sintetico di un batterio, per cui il DNA ricombinante dà tante opportunità e bisogna sempre rispettare determinati obbiettivi in modo che si faccia buon uso di questo DNA ricombinante perché alla stessa maniera, così come possiamo curare le malattie, possiamo fare tanto altro ma non per motivi eticamente condivisibili. Iniziamo a conoscere gli strumenti che abbiamo a nostra disposizione. Prima ancora di parlare di questi argomenti che banalmente sono pochi, c’è l’utilizzo che si fa di questi e gli aggiornamenti che si fanno ogni anno. Al giorno d’oggi abbiamo già fatto grandi salti in avanti. Andiamo a contestualizzare l’argomento e vedere quale condizione ha dato l’avvio a questo a questo studio delle terapie geniche, da dove e quando è partita l’idea della terapia genica. BUBBLE BOY, IL CASO DI DAVID VETTER Negli anni settanta la storia di David Vetter fece il giro del mondo. Questo ragazzino che morì a soli 12 anni ha vissuto tutta la sua vita in una bolla di plastica per questo venne soprannominato bubble boy, anche quando si spostava era costretto a spostarsi in ambiente sterile. Visse tutta la sua vita in una bolla di plastica perché li veniva sterilizzata e filtrata l’aria da qualsiasi agente più o meno infettivo, che però su questa tipologia di paziente poteva essere causa di morte. Questo ragazzino era affetto da una malattia chiamata SCID (sindrome di immunodeficienza combinata e severa) è una malattia che presenta una mutazione in un gene. Il gene in questione è il gene ADA, una deaminasi, che determina l’inattivazione di questo enzima e l’accumulo del substrato, che normalmente catalizza questo enzima, nelle cellule, soprattutto nei linfociti. Purtroppo, come già anticipato quando abbiamo visto i lisosomi, quando persiste l’accumulo di sostanze nelle cellule è sempre tossico e porta alla morte della cellula. Morendo i linfociti, che normalmente sono impegnati nella difesa immunitaria, tutti i pazienti affetti da questa malattia sono immunodeficienti pertanto un qualsiasi batterio o virus può causare gravi conseguenze. Mentre i virus in generale sono sempre patogeni, anche se possono avere una virulenza diversa, i batteri non sempre lo sono, eppure questa tipologia di pazienti non riesce a difendersi completamento da queste eventuali infezioni, per cui possono morire a causa di un banale batterio che normalmente convive con il nostro organismo. Una banale infezione per questo tipo di pazienti significa morte.
Negli anni settanta lo capirono e riuscirono a farlo vivere per 12 anni. Questo caso ebbe un grosso effetto mediatico e suscitò molto interesse anche negli scienziati che pensarono ad una possibilità di cura. Siamo negli anni in cui si fonda la tecnologia del DNA ricombinante, si cominciano ad utilizzare certi strumenti che inizieremo a vedere in questa lezione. Gli scienziati rifletterono su questa patologia. È una malattia monogenica, sappiamo che c’è una mutazione sul gene ADA che fa sì che la proteina non venga codificata, quindi in questi pazienti manca l’enzima, sappiamo inoltre che il substrato si accumula nei linfociti e che i linfociti vengono rinnovati periodicamente. All’epoca era facile pensare che si potesse lavorare facendo un prelievo, separando i linfociti, manipolandoli in vitro e poi reinfonderli nel paziente. Poi c’era un altro motivo, questo tipo di paziente non aveva chance di sopravvivere. Non avendo altra soluzione eticamente si poteva immaginare di sperimentare una terapia che potesse dare una possibilità di sopravvivenza. Questi sono i tre fattori sui quali si fondarono le riflessioni di alcuni ricercatori che avviarono quest’idea della terapia genica. Le precedenti conoscenze permisero loro di poterlo immaginare e mettere a punto. Così abbiamo i primi passi della terapia genica e l’applicazione di alcune tecnologie studiate in quel periodo. Negli anni successivi un paio di ragazzini, trattati con la terapia genica sono guariti per un periodo, non si è riuscito a risolvere, però negli ultimi anni è stato ormai messo a punto in maniera definitiva questo tipo di terapia genica. Dal 1990 si iniziarono ad avere i primi risultati. Il principio della terapia genica lo possiamo seguire in questa slide: Riconosciamo l’immagine indicata dalla freccia, si tratta di un batterio all’interno del quale è stato inserito un vettore (quello in fuxia) che è un anello di DNA con delle caratteristiche particolari che poi vedremo. In questo vettore è stato inserito un inserto (quello in azzurro) che è in nostro gene di interesse, nel caso specifico l’ADA. Avendo studiato Mendel e la simbologia sappiamo che un gene wild tipe è indicato con il segno + o con la lettera maiuscola, mentre un gene mutato viene simboleggiato con il segno-. Se dovessimo simboleggiare l’inserto sarebbe con il segno +, quindi all’interno di questo vettore si è riuscito ad inserire questo gene ADA+ che si chiama inserto. Nel momento in cui ho costruito questa molecola ho sintetizzato una molecola di DNA ricombinante, perché ho una molecola costituita da un anello di DNA che ha origini differenti. Il gene wild tipe ha origine dall’uomo, il vettore normalmente è un plasmide, cioè un anello di DNA extra cromosomico dei batteri. Quest’operazione di produzione della molecola di DNA ricombinante si fa fuori dal batterio, in provetta. In una provetta avrò a disposizione un vettore, in un'altra un inserto, farò