Nội dung text RISPOSTE TDL_ALESSIA IMBRIANI.pdf
TEORIA DEI LINGUAGGI. RISPOSTE A TUTTE LE DOMANDE PRESENTI IN PIATTAFORMA CHE LA PROF UTILIZZA PER L’ESAME SCRITTO. LE RISPOSTE SONO STATE RIELABORATE DA ME TENENDO CONTO DELLE SLIDES E DELLE VIDEOLEZIONI. MODULO 1 1. Esporre i vari modi in cui viene declinata la disciplina denominata “teoria dei linguaggi” e “filosofia del linguaggio”. La teoria dei linguaggi è una disciplina filosofica che equivale alla filosofia del linguaggio, il suo studio tuttavia non richiede conoscenze filosofiche pregresse. Nonostante la riflessione sui fenomeni linguistici sia presente sin dal Rinascimento, la disciplina universitaria della filosofia dei linguaggi risale agli anni 50. La riflessione sul linguaggio è fondata su capacità innate degli esseri umani che sono la capacità metalinguistica, quella che in generale delinea i meccanismi di funzionamento delle lingue, e quella epilinguistica, capacità innata che porta l’uomo a riflettere spontaneamente sulle lingue storico naturali. La teoria dei linguaggi fa riferimento a diversi linguaggi o codici semiologici o sistemi di segni, non si occupa quindi soltanto del linguaggio verbale. Essa riguarda anche la comprensione, l’interpretazione e la traduzione e include inoltre una riflessione sulla linguistica. La teoria dei linguaggi non è interpretata come filosofia speciale a differenza di altre filosofie, in quanto dall’inizio del Novecento il linguistic turn, ossia la svolta linguistica, ha posto il linguaggio come la condizione trascendentale di qualsiasi esperienza. Le ragioni di questa svolta sono legate ad una critica della metafisica tradizionale con cui il filosofo pretendeva di avere uno sguardo esterno, da nessun luogo, secondo la svolta linguistica invece il modo principale di concettualizzare la realtà è quello linguistico, la realtà è dunque sempre filtrata dal linguaggio. Inoltre con la svolta linguistica avviene una critica all’antropocentrismo, la semiosi non è un prodotto dei soli esseri umani ma caratterizza ogni essere vivente presente sulla terra, fa parte del mondo naturale. Accomunate alla svolta linguistica, nel passaggio tra 800 e 900, sono due tradizioni molto diverse ma accomunate dal riconoscere la centralità del linguaggio: la filosofia analitica, di ambito anglofono, e la filosofia continentale, dell’Europa continentale. Per affrontare questa disciplina ci sono delle metodologie e degli approcci fondamentali. Tra questi importante è l’approccio storico, tipico della filosofia continentale, che raccoglie cosa è stato detto sul linguaggio e sui segni fin dall’antichità. Questo tipo di approccio è fondamentale per la storia italiana che ha avuto dei momenti rilevanti per la cultura di tutta l’Europa, come ad esempio il Rinascimento, momento in cui nasce lo studio di quello che un testo ci dice. Altro approccio è poi quello etico, che propone un’assunzione di responsabilità individuale e collettiva per tutto ciò che ci unisce: processi semiotici, tutti gli altri esseri viventi, tutte le specie animali e il mondo vegetale. Questo tipo di approccio è legato al concetto di Antropocene, termine introdotto dal biologo Stoermer per definire l’impatto ambientale che la nostra specie ha avuto sul pianeta, impatto che ha conseguenze nefaste e potrebbe portare alla fine del pianeta stesso. Il linguaggio verbale è ciò che ci permette di distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è e quindi ci fa assumere un comportamento etico, il nesso tra un uso adeguato del nostro linguaggio e il rispetto dell’altro, in tutte le forme che esso può assumere. 2. Illustrare le caratteristiche principali della contrapposizione tra filosofia analitica e filosofia continentale nel panorama culturale del XX secolo:
La filosofia analitica e quella continentale sono entrambe fondamentali per la definizione del linguistic turn, a cavallo tra 800 e 900. Franca D’Agostino ha dedicato un importante volume a questo argomento, Analitici e Continentali (1997), nel quale espone sia gli aspetti comuni delle due filosofie, sia le divergenze. Gli aspetti comuni ci portano a considerare entrambe le filosofie come post-filosofiche o anti-filosofiche: il linguaggio è al centro di entrambe ed esse prendono distanza dalla metafisica, proponendo l’idea per cui ogni esperienza umana è sempre filtrata dal linguaggio e senza linguaggio non ci sarebbe conoscenza. Tra le convergenze c’è anche la soggettività linguistica, il ruolo che il soggetto parlante ha nel linguaggio, tema principale delle tradizioni continentali, quali la fenomenologia, l’ermeneutica, lo strutturalismo. Altra convergenza riguarda la questione della mente e della coscienza nelle tradizioni analitiche, quali cognitivismo, mentalismo. C’è inoltre in entrambe le filosofie una rottura rispetto alle ambizioni del pensiero filosofico dell’Ottocento che avevano la pretesa di includere la totalità dell’esperienza, di aver pensato tutto ciò che era possibile pensare (Kant, Fichte, Schelling, Hegel). Le filosofie del Novecento invece pongono il linguaggio come luogo di riflessione privilegiata e approdano ad analisi più circoscritte, spesso in dialogo con altre discipline. Mentre la filosofia analitica si lega di più alle scienze e alla logica, la continentale opta per una concezione pluralistica dell’attività filosofica, affiancandosi al relativismo, al pensiero debole e alla molteplicità delle prospettive ermeneutiche. La filosofia analitica rivendica quindi una superiorità legata al rigore scientifico e alla forza argomentativa, accusando la filosofia continentale di mancanza di precisione, soprattutto linguistica. La filosofia continentale invece, ha criticato la chiusura delle discussioni in ambito analitico, che per il loro carattere tecnico, escludono chiunque non sia interno alla discussione. La filosofia analitica si rifà ad una tradizione anglosassone che mette in luce l’imperfezione del linguaggio. Tra gli analitici più importanti ci sono il Circolo di Vienna e di Berlino, quindi il neopositivismo, la scuola di Cambridge. Il fondatore della filosofia analitica è il tedesco Frege con la sua opera più importante Ideografia; ancora oggi punto di riferimento per le sue analisi su senso e significato, per il rapporto tra linguaggio e pensiero e per il funzionamento del linguaggio ordinario. Il filosofo inglese Russel, ha contribuito a diffondere la filosofia di Frege, e ha individuato nella sua teoria della descrizione, una fallacia logico-linguistica delle lingue storico-naturali, sostenendo che spesso quando ci si serve del linguaggio non si fa un’analisi preliminare sufficiente. Altra figura importante è Wittgenstein, che ha contribuito alla filosofia analitica parlando di atti linguistici, di pragmatica, ma è anche stato il ponte tra filosofia analitica e continentale dal momento che si è posto in maniera critica rispetto all’esaltazione del progresso scientifico e tecnologico. La filosofia continentale appare meno coesa al suo interno di quella analitica, c’è infatti anche una distinzione tra French Theory e Italian Theory. I tre filosofi Hamann, Herder e Humboldt hanno criticato fortemente l’approccio della filosofia kantiana, affermando che Kant non aveva riconosciuto il ruolo fondamentale che le lingue storico-naturali hanno nel plasmare la realtà. Tra i più importanti continentali ci sono Husserl e Merlau-Ponty con la fenomenologia, Heidegger con l’esistenzialismo, Gadamer con l’ermeneutica. Heidegger si contraddistingue in due fasi, la prima caratterizzata dall’esistenzialismo con la sua opera Essere e tempo, e la seconda in cui pone al centro il linguaggio e l’esperienza estetica. Gadamer, fondatore dell’ermeneutica, pone al centro l’interpretazione, sostenendo che non esiste processo semiotico senza comprensione e interpretazione.
3. Presentare la concezione strumentalista del linguaggio e quella che ad essa si contrappone in modo critico: Una concezione diffusa delle lingue è quella che le concepisce come degli strumenti che servono per comunicare. Questa concezione è chiamata strumentalista e vede il linguaggio come uno strumento; secondo questa visione il fatto che esistano molte lingue è indifferente, perché esse si equivalgono in quanto strumenti che esprimono qualcosa che è indipendente da esse. Questo ha delle ovvie implicazioni anche sulla politica linguistica: verrà privilegiata la lingua che risulta funzionare più efficientemente a discapito di tutte le altre lingue. Nella concezione strumentalista la lingua è quindi una machine a parler, uno strumento di cui gli utenti si servono per la comunicazione come qualcosa che è rispetto ad essi estraneo. Basta un’analisi di poco più approfondita per capire che la concezione strumentalista è manchevole, la concezione che le si oppone è quella di lingua come Weltansicht (visione del mondo) del filosofo Von Humboldt. La lingua non è solo uno strumento comunicativo ma una prospettiva sul mondo, essa ha che fare con la cognizione prima che con la comunicazione. La lingua è considerata come un filtro a priori, che forgia la realtà extralinguistica a cui i parlanti hanno accesso solo tramite la lingua. La varietà linguistica non è dunque un fatto accessorio, le lingue sono uniche nella loro struttura e hanno un valore in sé, paragonabile a quello della diversità dell’ecosistema globale. La concezione della lingua come Weltansicht è strettamente collegata alla soggettività linguistica dei parlanti, un elemento che contribuisce ad imprimere sulla lingua l’impronta personale del parlante; egli non crea la lingua ex novo ma può profondamente modificarla, questo avviene in particolare in tutti gli stili letterari, poetici e creativi della lingua. 4. Descrivere le caratteristiche delle lingue storico-naturali. L’aggettivo storico-naturale attribuito alle lingue è quasi ossimorico dal momento che associa due elementi solitamente contrapposti: la storia e la natura. La lingua però ha una realtà talmente complessa che è sia naturale, in quanto si sviluppa in tutti gli individui della specie umana in condizioni normali; sia storica, in quanto tali condizioni normali presuppongono l’appartenenza ad una comunità linguistica che non ha inventato la lingua ma l’ha a sua volta ereditata in un processo storico di cui non si può risalire all’origine. La lingua è quindi al tempo stesso storica e naturale e in essa hanno un ruolo sia la costituzione psicofisica dei parlanti, dunque naturale; sia la dimensione storico-culturale a cui la lingua e i suoi parlanti appaiono connessi indissolubilmente, ad esempio i ragazzi selvaggi cresciuti in isolamento non imparano nessuna lingua. Una caratteristica delle lingue storico-naturali è l’arbitrarietà, essa è il modo per descrivere il carattere sistematico delle relazioni tra gli elementi delle lingue storico-naturali. Essa fa sì che le lingue segmentino in maniera diversa sia la dimensione semantica che quella fonologica. Gli elementi del segno linguistico non sono naturalmente motivati ma dipendono da una convenzione. Nell’arbitrarietà la dimensione del significante è strettamente legata a quella del significato, è un principio applicabile ad una concezione non strumentalista della lingua. Un principio con caratteristiche opposte è quello dell’iconicità, secondo cui il segno linguistico rappresenta elementi della realtà. Le lingue storico-naturali applicano questo principio su diversi livelli: fonologico, per cui le realtà iconiche agiscono tramite le onomatopee, sintattico, per cui si riproduce la successione del verificarsi degli eventi (veni, vidi, vici), ecc....Nella lingua dei segni l’iconicità ha un peso diverso, i gesti sono arbitrari e l’effetto di trasparenza è illusorio.
5. Esporre sinteticamente le varie caratteristiche della semiotica di Peirce presentando le nozioni di segno, con le sue diverse tipologie, di semiosi, e di type e token. Ogni processo di conoscenza, sia degli esseri umani che degli animali, può essere raccolto sotto il termine di semiosi. L’attività semiotica avviene attraverso la produzione di segni diversi. Una definizione molto celebre di segno è quella triadica di Peirce secondo cui esso è “qualcosa che sta per qualcuno al posto di qualcos’altro sotto certi aspetti o capacità”. Il segno è qualcosa che sta per qualcuno nel senso che non è una prospettiva metafisica bensì deve esserci un soggetto per cui il segno è tale; il segno sta per qualcosa nel mondo e può essere chiamato “rapresentamen”. Inoltre esso richiede un interpretante, ovvero di un segno che spieghi in che senso sia possibile che un segno si riferisca ad un determinato oggetto, per cui il processo semiotico è raffigurabile attraverso un triangolo che comprende ai suoi vertici il segno (o rapresentamen), l’interpretante e l’oggetto (immediato) che innesta il processo della semiosi. Per capire il funzionamento dei segni è necessario comprenderne i diversi tipi: indice, icona e simbolo. L’indice è un segno che ha una relazione di contiguità con l’oggetto a cui si riferisce, c’è una relazione di rimando immediato; un tipico esempio di indice è il fumo per il fuoco. L’icona rappresenta l’oggetto attraverso una serie di relazioni che hanno carattere di similarità. L’icona può essere immagine, metafora e diagramma. Il simbolo invece è un segno che ha con la realtà una relazione arbitraria, il rapporto è stabilito da una legge generale e il suo carattere rappresentativo coincide dunque con tale legge che determina il suo interpretante. Un esempio di simbolo è il linguaggio verbale, come tutti i segni convenzionali. Un segno non è mai isolato in quanto istituisce rapporti con la realtà, esso si trova sempre in un sistema di segni, il codice. Senza un codice a cui fare riferimento, gli utenti non potrebbero interpretare e usare i segni a cui vengono esposti. Quello a cui si ha sempre accesso è il token, cioè il segno come lo percepiamo immediatamente, l’occorrenza singola, con caratteristiche individuali, di un segno. Il token si compone di un senso e di un’espressione. Per comprendere il token bisogna ricondurlo alla classe generale del segno a cui fa riferimento, questo livello è quello del type. Esso si riferisce alla classe generale del segno con una serie di regole. Analizzandolo, esso contiene il significato e il significante, che corrispondono sul livello del token al senso e all’espressione. 6. Presentare la classificazione ascendente dei codici (dai più elementari ai più complessi) presentata da Tullio De Mauro: I codici possono essere soggetti a vari tipi di classificazione, è possibile fare riferimento nella classificazione alla dimensione del significante ossia dell’espressione materiale. In tal caso si distinguono codici che utilizzano medium visivi, tattici, acustici, chimici. Questo tipo di classificazione però non permette di individuare la specificità di un codice, mentre Tullio De Mauro nel suo libro “Guida all’uso delle parole” elabora una classificazione che fa riferimento alle regole di funzionamento del contenuto dei vari codici. Questa classificazione ha un ordine crescente, parte dai codici più semplici e arriva a quelli più complessi, individuando nelle lingue storico-naturali il massimo grado di complessità. Il primo tipo di codici è quello della certezza che indica codici semiologici a segni non articolati di numero limitato, senza sinonimia. Un esempio è il semaforo, esso è composto da segni, i colori rosso, giallo e verde. In questo caso il significante è l’oggetto del semaforo in sé con i suoi colori luminosi, il significato, nell’uso standard del semaforo è quello di doversi fermare con il rosso, poter passare con il verde e affrettarsi con l’arancione che
precede lo scattare del rosso; nell’uso a senso unico, con l’arancione lampeggiante di notte, è quello di fare attenzione. Con questo tipo di codici, un segno trasmette solo un significato e non consentono dunque sinonimi. Sono codici assolutamente certi e senza ambiguità. Il secondo tipo di codici è quello del risparmio che include codici a segni non articolati di numero limitato senza sinonimia ma ordinati. Un esempio è quello dei segni dello Zodiaco, un codice seriale costituito da una serie di segni ordinati, questo consente di acquisire informazioni che non riguardano solo il singolo segno, ad esempio il segno del Sagittario individua le persone nate tra il 23 novembre e il 21 dicembre, ma sappiamo anche che è preceduto dal segno dello Scorpione e seguito da quello del Capricorno. Queste informazioni sono veicolate solo dall’ordine dei segni del codice e per questo motivo Tullio De Mauro ha suggerito di chiamarli codici del risparmio. Vi sono poi codici che sfruttano e ampliano il potenziale della serialità ordinata all’interno di un sistema combinatorio, sono i codici combinatori del risparmio. Esempio sono un campionario di stoffe, il catalogo di una biblioteca o le frasi stesse. Si tratta di codici estremamente funzionali in quanto forniscono molte combinazioni attraverso la combinazione di elementi. Il quarto tipo di codici è quello dell’infinito, si tratta di codici a segni articolati di numero illimitato senza sinonimia, ordinabili in modi infiniti. Questi codici sono composti da elementi potenzialmente infiniti, quindi i numeri. La caratteristica dell’infinità deriva da due caratteristiche: la regola per cui l’iterabilità di un segno numerico dà luogo ad un segno diverso (111 è diverso da 11 ed è diverso da 1); la regola per cui dato un insieme di segni di qualsiasi lunghezza, è sempre possibile aggiungere ad esso un’altra cifra. A questo punto si passa ai codici per risolvere problemi che sono codici a segni articolati di numero illimitato con sinonimia, ordinabili in modi infiniti. Finora i codici presentavano una corrispondenza biunivoca tra gli elementi, mentre operazioni come le addizioni, le sottrazioni ecc. presentano la proprietà ulteriore della sinonimia. Ci sono infatti un numero infinito di operazioni che corrispondono alla cifra 2 ad esempio, tali operazioni sono sinonime. In questo caso inoltre la sinonimia è assoluta perché le operazioni corrispondono sempre ad un’unica cifra, l’assolutezza della sinonimia è data dal fatto che anche problemi di risoluzione complessa fanno uso di un insieme di regole immodificabili e conducono sempre a risultati certi. Le lingue storico-naturali fanno parte dei codici per risolvere problemi ma in esse non ci sarà più l’elemento della certezza e la sinonimia quindi non sarà più assoluta. 7. Esporre le principali caratteristiche semiotiche delle lingue storico-naturali Le lingue storico-naturali fanno parte dei codici per risolvere problemi, ovvero di quei codici a segni articolati di numero illimitato con sinonimia, ordinabili in modi infiniti. Esse però non hanno più l’elemento della certezza per cui la loro sinonimia non sarà più assoluta. Ciò vuol dire che i suoi termini non saranno mai sinonimi assoluti, ad esempio gatto, micio, felino non hanno lo stesso identico significato sebbene possiamo pensare che lo abbiano se facciamo riferimento al referente extralinguistico. La scelta però dell’uno o dell’altro termine è determinata dall’uso e da questo punto di vista non qualsiasi di quei termini è appropriato in tutte le situazioni. Una delle proprietà delle lingue storico naturali è la creatività e va considerata su più livelli. Un primo livello fa riferimento al principio di iterabilità, per cui “le lingue fanno un uso infinito di mezzi finiti”. L’iterabilità di un sintagma, come nei numeri, cambia il significato