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TEORIA DEI LINGUAGGI – PROF.ssa Fortuna – RISPOSTE DI CHIARA CORTIANA MODULO 1 – RISPOSTA 1 Esporre i vari modi in cui viene declinata la disciplina denominata con gli appellativi “teoria dei linguaggi” e “filosofia del linguaggio La teoria dei linguaggi è una disciplina filosofica nata negli anni Cinquanta che prima si chiamava filosofia del linguaggio. È raggruppata in ambito accademico sotto il codice di uno specifico raggruppamento disciplinare, M-FIL/05 e in Italia fa riferimento alla scuola romana, fondata da Antonino Pagliaro e Tullio De Mauro. Questa materia è stata chiamata anche disciplina di frontiera in quanto confina con diversi saperi scientifici, dato che il linguaggio è coinvolto in ogni attività umana. Importanti per la teoria dei linguaggi sono le capacità METALINGUISTICHE, come sottolinea Lia Formigari, cioè le capacità che a partire dall’osservazione dei meccanismi che regolano la lingua hanno portato a declinare le strutture e le regole della stessa, e le capacità EPILINGUISTICHE, ossia le capacità innate che si trovano nel bambino nell'apprendimento della L1. Elemento fondamentale per l'apprendimento della lingua nei bambini è la capacità di porsi domande sull’aspetto fonologico, semantico e sull’uso della propria lingua. Quando indichiamo la Teoria dei linguaggi con il termine “filosofia del linguaggio”ci riferiamo principalmente al linguaggio verbale, ma anche agli altri codici semiologici, ossia a sistemi di segni differenti che possono essere naturali o artificiali. Molto importante è delineare una distinzione tra linguaggio e lingua (anche se in qualche lingua non accade, come il tedesco, dove lingua e linguaggio coincidono in Sprache). - Il termine LINGUAGGIO è polisemico e si può riferire la facoltà innata generale del linguaggio che sta alla base della capacità simbolica umana e anche ai diversi tipi di linguaggio (verbale, linguaggi tecnico-scientifici, codici comunicativi di altre speicie, forme espressive delle arti, ecc.); - la LINGUA è quella facoltà che si determina nelle varie comunità e si declina nelle cosiddette lingue storico- naturali. Per questo si parla anche di “filosofia delle lingue”. Nel passato, la filosofia dei linguaggi ha peccato nel dare la priorità alla produzione, mentre prima di essa, anche a livello ontogenetico, avviene la comprensione (il bambino prima ascolta e interiorizza il linguaggio e solo diversi mesi dopo inizia la sua produzione orale). La teoria dei linguaggi tiene conto della dimensione che attiene alla comprensione, all’interpretazione e anche alla traduzione, che fa riferimento alla coesistenza di diverse lingue; quest’ultimo aspetto è particolarmente importante anche per i fenomeni socio-politici. Importante, però, è sottolineare che la teoria dei linguaggi, pur essendo una disciplina filosofica, non fa parte delle filosofie speciali (come la filosofia del diritto, o la filosofia della storia). Per certi versi non ritiene di essere una filosofia del linguaggio perché dall'inizio del 900 si ritiene che tutta la filosofia abbia attuato un linguistic turn, una svolta linguistica. La svolta linguistica segna convenzionalmente il passaggio dall’800 al 900, e consiste in una autocritica che la filosofia fa di se stessa ponendo al centro la metafisica, che pretende di avere uno sguardo esterno, neutro, da nessun luogo, e avere accesso ad una verità non filtrata dal soggetto, dove però ogni individuo è fatto di un corpo, di un sistema sensoriale e percettivo. Si tratta di una prospettiva fortemente antropocentrica, quella della svolta linguistica, che non tiene conto del fatto che i fenomeni comunicativi accomunano tutto il mondo naturale, non solo il genere umano e sarà perciò oggetto di una critica che propone di adottare un punto di vista più ampio sulla semiosi (processi di esperienza, categorizzazione e comunicazione NON esclusivamente umani).
La svolta linguistica riprende la rivoluzione copernicana di Kant, che per primo mosse una critica alla metafisica, proponendo di individuare le condizioni trascendentali di ogni esperienza a partire dai filtri sensoriali e cognitivi che il soggetto inevitabilmente impone alla realtà. Kant a sua volta è oggetto di una critica nell’800 perché il modo in cui concettualizziamo la realtà è quello linguistico, cioè la realtà è sempre filtrata dal linguaggio (il LINGUAGGIO per la svolta linguistica è la principale condizione trascendentale della realtà). Questo approccio ha dei risvolti problematici perché mette al centro solo il linguaggio umano, quasi a sostenere che esso è l’unico degno di nota, l’unico interessante e gli altri codici assumono una rilevanza inferiore, da cui tutta una serie di ricadute dal punto di vista etico ed ecologico. Accomunate dalla svolta linguistica ci sono due tradizioni filosofiche, quella continentale e quella analitica. La teoria dei linguaggi, che rientra nella tradizione filosofica continentale, può anche essere declinata come “filosofia della linguistica/storia delle idee linguistiche oppure semiotica” per la sua riflessione epistemologica sulle categorie elaborate appunto dalla linguistica. Ha un APPROCCIO STORICO, che ripercorre ciò che è stato detto fin dall’antichità (a partire dai filosofi greci) sul linguaggio/codici semiotici/segni. Questa modalità è tipica italiana; fin dal Rinascimento si afferma in Italia il metodo STORICO- FILOLOGICO che dà un’attenzione particolare ai testi, dai quali parte per esplorare un dato tema. E’ un approccio che si inserisce nel contesto culturale italiano: la filosofia italiana, come interpretata da Remo Bodei e Roberto Esposito nell’Italian Theory o Italian Thought, ha una natura estroflessa, attinge all’esperienza e allo stesso tempo incide su di essa, provoca ricadute nell’ambito politico, sociale. Non a caso il tema dell’inclusione scolastica, della democratizzazione del sistema italiano può essere ricondotto proprio a questa specificità del pensiero filosofico italiano, pensiero che abbraccia non solo filosofi in senso stretto, come Vico o Croce, ma anche intellettuali, pensatori, scienzati, scrittori e politici (Leonardo, Galileo, Dante, Leopardi, Pier Paolo Pasolini, Gramsci). In particolare il tema dell’inclusione riporta all’APPROCCIO ETICO di TDL, perché rientra nel concetto di ANTROPOCENE introdotto dal biologo Störmer negli anni Ottanta, che riguarda l’impatto ambientale che la nostra specie ha avuto sul Pianeta dalla Rivoluzione Industriale in poi e in maniera esponenziale nel 900, cosa che ha avuto consequenze nefaste sull’ambiente, e che potrebbe portare un giorno all’estinzione della specie umana. Ecco da dove nasce la dimensione della Teoria dei linguaggi che attiene all’ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA’ del singolo e della collettività. Per questo è importante per la TDL mettere in luce gli aspetti che ci accomunano agli altri, umani, animali e vegetali, anche a livello di processi semiotici. Ciò porta ad un ATTENZIONE ALL’ALTRO, ad un approccio etico, ad un modo di comunicare che passa dal RICONOSCIMENTO e dal RISPETTO VERSO L’ALTRO. E questo si riflette anche nelle nostre scelte linguistiche: la consapevolezza del nostro USO DEL LINGUAGGIO verbale è fondamentale, perché ci rende capaci di discernere ciò che è giusto da ciò che non lo è, ed è quindi la base del comportamento ETICO. Questa è la base anche, a livello pedagogico e legislativo, dell’inclusione scolastica. MODULO 1 – RISPOSTA 2 Illustrare le caratteristiche principali della contrapposizione tra filosofia analitica e filosofia continentale nel panorama culturale europeo del XX secolo All’interno della Filosofia del 900 ritroviamo due indirizzi, quello della filosofia analitica e quello della filosofia continentale, due tradizioni filosofiche contrapposte, ma allo stesso tempo accomunate dal fatto che entrambe riconoscono la centralità del linguaggio senza il quale non può esistere conoscenza. Le due tradizioni, che sono protagoniste del LINGUISTIC TURN, la svolta linguistica che convenzionalmente segna il passaggio tra 800 e 900, criticano fortemente il filosofo dell’Ottocento che pretendeva di avere uno sguardo neutrale, esterno, sulla realtà, una prospettiva non filtrata dal soggetto parlante, e pongono invece al centro di qualsiasi esperienza di conoscenza il linguaggio, come unica condizione trascendentale.
Le due filosofie riflettono sull’importanza del linguaggio declinandolo però in modo molto diverso: La filosofia ANALITICA è proprio di un contesto anglosassone, i paesi di riferimento sono il Regno Unito e gli USA, anche se poi si è diffusa e viene insegnata in molti altri dipartimenti come quello italiano. I padri fondatori sono Frege, Russel, Wittgenstein della scuola di Cambridge, il circolo di Vienna e il circolo di Berlino, cioè il neopositivismo. La filosofia analitica si rifà ad una tradizione anglosassone che ha come punto di riferimento il filosofo inglese John Locke o potrebbe addirittura risalire a Francis Bacon. Il linguaggio viene considerato alla luce delle sue imperfezioni intrinseche (polisemia, omofoni,...) da cui scaturisce la necessità di emendarlo, per renderlo meno ambiguo. Questa soluzione nasce nell’ambito della logica, della matematica, delle scienze pure, che necessitano di un linguaggio il più preciso possibile. Il fondatore di questa tradizione filosofica, è il tedesco Gottlob Frege, che grazie alla sua opera “Ideografia”, ha fornito interessanti analisi su senso e significato, riflessioni sul rapporto tra linguaggio e pensiero, e sul funzionamento del linguaggio ordinario. Bertrand Russel ha contribuito a diffondere e portare avanti il pensiero di Frege e a sostenere l’opera del proprio allievo Wittgenstein. Ha inoltre individuato una proposta per emendare un tipo di fallacia logico-linguistica che si basa sul presupposto che quando ci serviamo del linguaggio non facciamo un’analisi preliminare sufficiente. Questo ha ripercussioni in diversi ambiti, in quello politico in primis, in cui frasi pronunciate senza opportuna analisi preliminare corrispondono a frasi scorrette e spesso dette in malafede: per Russel è dunque importante mantenere una dimensione etica anche nel linguaggio. Ludwig Wittgenstein, allievo di Russel, si è occupato di atti linguistici, di pragmatica, ed ha rappresentato il PONTE fra la filosofia analitica e continentale, poiché si è posto in modo critico rispetto al progresso. Wittgenstein ci mette in guardia da un’adesione acritica, ingenua o superficiale ad un modello di vita, improntato all’esaltazione del progresso tecnico-scientifico, che ha una visione miope, vede solo l’interesse ristretto ed egoistico dell’Uomo, a cui però manca una prospettiva più ampia, che abbracci oltre all’uomo anche gli altri esseri viventi, il Pianeta intero. Questo atteggiamento può portare all’estinzione della stessa specie umana (concetto affine a quello di Antropocene) e dunque propone la FILOSOFIA come TERAPIA per riuscire a vedere con maggior chiarezza ciò che ci è troppo vicino, ad avere un orizzonte più ampio. (vedi sguardo della Provvidenza di Vico e rovesciamento ironico di prospettiva e catarsi di Tommaso Russo Cardona). La filosofia CONTINENTALE è meno coesa e riguarda l'Europa nella quale ci sono tradizioni differenti come lo strutturalismo (Saussure, Jakobson, Lévi-Strauss), il post-strutturalismo e post-modernismo della French Theory (Lacan, Derrida, Foucault, Deleuze, Lyotard) e della Italian Theory (teorizzata da Remo Bodei e in seguito da Roberto Esposito in ‘Pensiero vivente”), la fenomologia (Husserl, Merleau-Ponty), l’esistenzialismo (Heidegger, Sartre, Camus), e infine l’ermeneutica (Vattimo, Ferraris, Gadamer) e il marxismo. In realtà non viene considerata filosofia e quindi non viene insegnata in dipartimenti filosofici ma è assimilata dalla critica letteraria. Il punto di riferimento qui è Kant e il Kantismo, perché il filosofo tedesco è il primo ad elaborare una critica alla metafisica, proponendo di individuare le condizioni trascendentali di ogni esperienza a partire dai filtri sensoriali e cognitivi applicati alla realtà dall’individuo. In seguito Kant è oggetto anch’egli di una critica nell’800 ad opera di tre filosofi, Herder, Hamann e Humboldt che elaborano la loro visione metacritica rimproverandolo di non aver riconosciuto il ruolo fondamentale delle lingue che plasmano la realtà umana. In Humbolt questa impostazione diventa ancora più radicale in quanto egli cerca di mostrare come il linguaggio sia una visione sul mondo, una Weltansicht. La riflessione di Heidegger si divide in due fasi, la prima caratterizzata dall’esistenzialismo con la sua opera “Essere e tempo”, e la seconda in cui parte da studi su Hölderlin e pone al centro il linguaggio poetico e l’esperienza estetica. Gadamer, fondatore dell’ermeneutica, pone al centro l’interpretazione, sostenendo che non esiste alcun processo semiotico senza comprensione e interpretazione, e ribadendo l’istanza etica e l’importanza dell’ascolto. Le diverse tradizioni della filosofia continentale travalicano i confini nazionali, anche se un indirizzo può essere riconducibile ad un gruppo di filosofi appartenenti per la maggior parte ad un paese specifico, con una simile origine socioculturale ed uno stesso STILE. Se fino al 700 la filosofia si discuteva e si scriveva in latino, dal 700 emergono le lingue nazionali e anche la riflessione filosofica si declina nella propria
madrelingua. I filosofi dovevano pertanto imparare le lingue, in particolare il tedesco, per comprendere il pensiero di altri filosofi e per impossessarsi di un certo “stile”. Con l’avvento della filosofia analitica, il linguaggio della filosofia si è trasformato in uno stile asciutto, vicino a quello di un trattato scientifico, legato alla lingua inglese, non traducibile. La French Theory si è progressivamente distinta sempre più dall’Italian Theory, che nasce dalla voce “Italien” scritta da Remo Bodei per un vocabolario filosofico, in cui egli associa la LINGUA ITALIANA ad un certo STILE/MODO DI FARE FILOSOFIA. Roberto Esposito riprende questa riflessione introducendo il concetto di Italian Theory, o Italian Thought, per cui il pensiero italiano, più aperto a diversi ambiti, estroflesso, è caratterizzato da uno stile filosofico non specialistico (non è una filosofia accademica) ma tipica di un saggio letterario (ecco perché anche Dante e Leopardi possono rientrare fra i “filosofi” del linguaggio italiani). Nel suo “Pensiero vivente”, Esposito riflette sugli effetti della filosofia sulla società, quindi sui contesti che sono influenzati da essa e i prodotti di questa filosofia. La filosofia analitica rivendica una superiorità legata al rigore scientifico accusando i continentali di mancanza di precisione linguistica; la filosofia continentale critica a sua volta il tecnicismo esasperato e il carattere tecnico ed esclusivo degli analitici, che non rende il loro pensiero accessibile a tutti, e quindi aperto, estroflesso come quello continentale. La filosofia continentale, che si avvicina alle scienze umane,d introduce la nozione di PENSIERO DEBOLE (Vattimo), un pensiero che relativizza la realtà, o la visione che ne abbiamo, perché introduce la possibilità di molteplici prospettive, e si oppone al pensiero analitico che si basa su un’unica prospettiva vera (nel contesto della logica e della matematica). Franca D’Agostini, nel suo “Analitici e continentali”, evidenzia come queste filosofie siano opposte, e in particolare divergono perché l’idea di superamento della metafisica nella tradizione analitica è legata all’esigenza di rendere il metodo filosofico più vicino e funzionale a quello della matematica e della logica, mentre nella filosofia continentale l’approccio è diverso perché si connette ad una visione pluralistica dell’attività filosofica. Tuttavia, la filosofa torinese sottolinea anche come le due tradizioni abbiano saputo influenzarsi a vicenda e prendere elementi/trarre spunto e ispirazione l'una dall'altra. Per questo si parla di filosofia post-analitica e post-continentale, proprio per sottolineare il movimento di reciproca convergenza e assimilazione fra le due. Tra le convergenze delle due tradizioni filosofiche che ci ricorda la D’Agostini, oltre alla centralità del linguaggio, dobbiamo ricordare anche la soggettività linguistica. La filosofia continentale pone al centro il ruolo che il soggetto parlante ha nel linguaggio. La lingua, per i continentali, non è un organismo autonomo, ma è fatta dagli utenti, che la modificano mentre ne fanno uso (richiamo all’importanza della pragmatica in questa tradizione). Nella filosofia analitica si parla invece di centralità del soggetto nella sua attività cognitiva e linguistica, ossia viene collegata all’attività mentale del soggetto. Il ruolo della mente e della coscienza sono alla base della cosiddetta “svolta cognitiva” che porta al cognitivismo chomskyano (per cui il linguaggio è la rappresentazione/l’attività mentale del soggetto parlante), o mentalismo e alla filosofia della mente. Un’altra convergenza riguarda il superamento della metafisica e la rottura delle due tradizioni filosofiche del Novecento con le ambizioni della filosofia dell’Ottocento, e di una tradizione che risale fino ad Aristotele, che dava alla filosofia il compito di esplorare in modo sistematico ed esaustivo la TOTALITA’ DELL’ESPERIENZA umana e non umana. In particolare la fenomenologia dello spirito di Hegel si proponeva di proporre attraverso la sua filosofia un sapere completo (absolutus) e secondo la filosofia idealista di Schelling i filosofi avevano già pensato tutto il pensabile. Le filosofie moderne collegano questo approccio delle filosofie dell’Ottocento alla fine della filosofia. La filosofia del Novecento assume un

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